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quando il secondo numero de L’Eco dell’Amore arriverà fra le vostre mani avremo probabilmente già iniziato la Quaresima. Ma nel frattempo ci stiamo avvicinando e vi volevamo anticipare l’editoriale di lancio.

Quest’anno, il tempo forte della liturgia sarà vissuto nel quadro del Giubileo.
Nella Bolla di indizione Spes non confundit, al n. 23, si parla dell’indulgenza e del Sacramento della Penitenza. Papa Francesco scrive fra l’altro che l’«esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime». 

Questo passaggio non può non farci pensare alle drammatiche esperienze vissute da tanti nostri fratelli nella fede, cristiani perseguitati, oppressi dalla violenza in molte nazioni del mondo. Specie nelle aree di conflitto, dove ogni famiglia piange uno o più defunti, oppure fa quotidianamente i conti con le conseguenze di ferite anche gravi, si pone un’alternativa: alimentare il rancore in vista della vendetta, oppure aprire il cuore e la mente al perdono.

Questo vale sia individualmente sia comunitariamente, e la storia degli eventi può cambiare radicalmente se prevale la volontà di vendetta oppure quella di perdonare. Quando l’una o l’altra disposizione interiore della maggioranza dei membri di una comunità si cristallizza e diventa operativo, si producono degli effetti che successivamente saranno narrati dai cronisti, esaminati dagli analisti e influenzati dall’attività politica.

Tutto nasce, tuttavia, dall’originaria disposizione del cuore. Per questo, noi cattolici non dobbiamo stancarci di sottolineare la necessità del Sacramento della Penitenza, in particolare attingendo ai ricchi e solidi contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1422 – 1498). Solo attraverso la familiarità con questo Sacramento si può estirpare dal nostro cuore la radice maligna del rancore e del desiderio di vendetta.

Alla luce di quanto finora descritto, comprendiamo quanto sia importante la permanenza delle comunità cristiane perseguitate nelle rispettive patrie, soprattutto dove la violenza e il conflitto inducono chi può a emigrare. Se viene meno il «sale della terra» (Mt 5, 13), come potremo illuderci di vedere instaurata una pace autentica, alimentata da cuori riconciliati? Se non si passa attraverso la porta stretta del perdono, la pace sarà sempre e solo un temporaneo e instabile equilibrio basato sulla contrapposizione di forze, il cui scopo principale sarà attendere il momento opportuno per la tanto desiderata resa dei conti.

Le comunità di cristiani perseguitati e discriminati hanno il diritto di restare nelle terre di origine, vivendo dignitosamente, in piena sicurezza e pacificamente. La loro presenza è importante anche per quanti non fanno parte della Chiesa, perché dal quotidiano esempio di una vita riconciliata fioriscono concrete prospettive di speranza.

Approfittiamo dell’Anno giubilare per esercitarci nel perdono e preghiamo affinché i cristiani perseguitati e afflitti dalla violenza siano unanimi nel rifiutare rancore e vendetta e concordi nell’«aprire il cuore e la mente a perdonare».

Come sostenere i cristiani perseguitati nel mondo

Restiamo sempre vicino agli oltre 307 milioni di cristiani perseguitati nel mondo, pregando per loro e sostenendo ACS nei suoi progetti, tra cui il sostegno dell’educazione cristiana nelle scuole di Aleppo e la costruzione della scuola materna Bait Al Tifl.

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