In Guerrero, uno degli Stati messicani più oppressi dalla violenza, il Vescovo José de Jesús González porta avanti la sua missione pastorale tra minacce e attentati. Con fede cristiana e coraggio, accompagna le famiglie segnate dalle drammatiche conseguenze del narcotraffico, offrendo consolazione e speranza a un popolo che non vuole arrendersi.

La fede cristiana come ultimo rifugio
Nello Stato messicano di Guerrero la fede cristiana rimane l’ultimo rifugio per una popolazione oppressa dal crimine organizzato. Qui opera Mons. José de Jesús González, Vescovo della diocesi di Chilpancingo-Chilapa, che ha scelto di restare accanto al suo popolo pur sapendo di esporsi al fuoco incrociato.
Non è la prima volta che il presule vive situazioni estreme. Già durante i dodici anni trascorsi nella Prelatura di Nayar aveva conosciuto pericoli mortali.
«Eravamo in tre in un furgone e ci hanno sparato alla testa, non alle gomme. Ma quando hanno visto che eravamo sacerdoti si sono scusati e hanno offerto di pagare i vetri rotti», racconta sorridendo, ricordando l’attacco subìto appena undici mesi dopo l’inizio del suo ministero episcopale.
Quando i criminali si resero conto che avevano di fronte un Vescovo, arrivarono perfino a chiedergli la benedizione. Fu allora che mons. González comprese che la sua missione non consisteva solo nel difendere i fedeli e la fede cristiana, ma anche nel guardare con compassione a chi vive immerso nella violenza: «Sono anch’essi miei figli, anche se smarriti. Se Cristo è morto per amore mio, io devo essere disposto a morire per amore degli altri. E questi “altri” includono tutti, perfino i carnefici», confida oggi con semplicità.

La Chiesa e la fede cristiana voce del popolo
La realtà di Guerrero è quella di uno “Stato sequestrato”: le bande armate impongono la loro legge, controllano strade, estorcono denaro, fanno sparire e uccidono. In questo contesto, la Chiesa e la fede cristiana sono spesso «l’unica voce che può parlare per il popolo». Ma questa voce si paga cara: sacerdoti e leader comunitari sono stati uccisi per aver difeso la giustizia e la dignità umana. «Se non siamo coraggiosi, piange il popolo… e piange Dio», afferma il vescovo.
Insieme ad altri pastori, ha promosso centri di ascolto per le madri in cerca dei figli scomparsi, offrendo sostegno legale, conforto umano e soprattutto un abbraccio che le faccia sentire parte della Chiesa: «Non possiamo lasciarle sole in mezzo ai lupi che divorano», spiega.
La fede cristiana come scudo e motore
Mons. González è consapevole dei rischi. Ha visto sacerdoti uccisi per aver invocato la pace e sa che potrebbe toccare anche a lui, eppure continua a camminare tra la sua gente, celebrare, visitare famiglie, affrontare il pericolo.
«La preghiera ci rende coraggiosi per entrare nella mischia», ripete, chiedendo a tutti, in Messico e fuori, di sostenerlo: «Pregate per noi. Dio non ci abbandona, ma abbiamo bisogno di sentire che ci siete vicini per andare avanti».
Negli ultimi anni Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto la diocesi con offerte per le Messe, restauri di conventi e aiuti alla formazione dei seminaristi in zone di difficoltà e violenza, come il Messico. Un segno concreto di solidarietà con una Chiesa che, pur ferita, continua a testimoniare la speranza e la sua fede cristiana.