Punti chiave
- A due anni dagli attacchi di Jaranwala, nessuno dei responsabili è stato condannato e le vittime continuano a subire minacce.
- Monsignor Rehmat denuncia la mancanza di giustizia e ringrazia chi sostiene la speranza dei cristiani in Pakistan.
- Molti degli accusati di violenze sono stati liberati, mentre diversi cristiani sono ancora detenuti o perseguitati.
- Gli edifici ricostruiti dopo l’attacco mostrano gravi carenze strutturali, segno di un sostegno statale che presenta limiti.
- L’aiuto dei benefattori di ACS ha permesso di ricostruire chiese e case, restituendo fede e speranza a un popolo ferito.
A due anni dagli attacchi di Jaranwala, i cristiani del Punjab attendono ancora giustizia: nessuno dei responsabili è stato condannato, mentre le vittime continuano a subire minacce. Monsignor Rehmat denuncia l’impunità dei persecutori, ma ringrazia i benefattori che continuano a sostenere la speranza di una comunità ferita.
Giustizia negata per i cristiani in Pakistan dopo l’attacco di Jaranwala
Sono passati due anni dall’atrocità di Jaranwala, considerata la peggior ondata di violenza contro i cristiani in Pakistan nei 78 anni di storia del paese. Il 16 agosto 2023, 26 chiese, 80 abitazioni, sale parrocchiali, residenze di sacerdoti e persino cimiteri cristiani furono devastati da una folla inferocita. Eppure, a distanza di tempo, nessuno dei responsabili è stato assicurato alla giustizia.
Mons. Indrias Rehmat, Vescovo di Faisalabad, non nasconde la sua indignazione: «La giustizia non è stata fatta. La polizia non ha compiuto il suo dovere. Nessuno è stato condannato e non abbiamo alcuna speranza che i colpevoli vengano perseguiti».
Degli oltre 5.200 accusati, solo 380 sono stati arrestati, molti dei quali rilasciati su cauzione. L’unico processo celebrato si è concluso con l’assoluzione di dieci imputati.
Rabbia, minacce e ingiustizie per i cristiani in Pakistan
Il Vescovo racconta che i cristiani in Pakistan hanno subìto minacce per aver osato chiedere giustizia.
«La gente vuole gridare e urlare perché l’ingiustizia è diventata insopportabile».
La rabbia è accresciuta dal fatto che le uniche condanne hanno colpito cristiani: Rocky e Raja Masih, accusati di blasfemia e poi assolti, ed Ehsan Masih, ritenuto colpevole di aver diffuso l’immagine di un testo sacro danneggiato.
Ad aprile, un altro cristiano, Pervaiz Masih, è stato condannato a morte con l’accusa di blasfemia, in circostanze che sollevano forti dubbi. Padre Khalid Rashid Asi, direttore della Commissione diocesana Giustizia e Pace, denuncia:
«I nostri fedeli hanno paura di recarsi in tribunale: i fondamentalisti islamici sono molto forti e li minacciano. Dopo due anni, i nostri sono ancora in attesa di giustizia. I musulmani accusati sono liberi su cauzione, mentre i cristiani subiscono condanne».
Anche il programma di sostegno statale presenta limiti: sebbene molti edifici siano stati ricostruiti, diversi interventi sono stati eseguiti con materiali scadenti, lasciando famiglie e comunità in condizioni precarie.
Il clima si è ulteriormente deteriorato dopo un discorso pronunciato a Islamabad da un predicatore musulmano, il quale ha definito le chiese «mucchi di immondizia». La Conferenza Episcopale pakistana ha reagito con fermezza, definendo le parole «offensive» e «profondamente denigratorie».
Segni di speranza e il sostegno dei benefattori ai cristiani in Pakistan
Nonostante il dolore e la paura, Mons. Rehmat invita a coltivare la speranza.
Con il supporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, le famiglie colpite hanno ricevuto pacchi alimentari, beni essenziali e aiuti per la ricostruzione di chiese e abitazioni.
«Sono molto grato – afferma – perché ACS è sempre al nostro fianco. Le vostre preghiere e i vostri sacrifici sono un sostegno immenso».
Nel giorno dell’anniversario dell’attacco, il 16 agosto, il Vescovo ha presieduto a Jaranwala la benedizione e la riconsacrazione della chiesa di San Giovanni, gravemente danneggiata due anni prima. Accanto alle macerie del presbiterio, ancora da ricostruire, la comunità cristiana ha rinnovato la sua fede. È il segno che, nonostante l’ingiustizia, la speranza continua a fiorire.
I cristiani in Pakistan hanno bisogno del nostro aiuto per ricostruire non solo le loro case e le loro chiese, ma anche la speranza.
Con un dono di fede puoi sostenere questa comunità ferita e restituirle la forza di credere nel futuro.