A trent’anni dal massacro di Srebrenica
A trent’anni dal massacro di Srebrenica, il più grave in Europa dalla Seconda guerra mondiale, il sacerdote e giornalista Dražen Kustura riflette sul ruolo della Chiesa cattolica in Bosnia-Erzegovina nel processo di riconciliazione, tra memoria, dolore e ricerca di giustizia.

Cosa significa per lei questo anniversario?
«È un promemoria di quanto il male possa essere potente. Ci ricorda i crimini del recente passato, di cui nessuno con solidi principi morali può andare fiero. Ma, mentre riportano alla luce il passato, questi anniversari rappresentano anche un’opportunità: fare giustizia, condannare i crimini e, al tempo stesso, lavorare per la riconciliazione».
In che modo la società vive le ferite lasciate da quella tragedia?
«Purtroppo, non esiste ancora una consapevolezza condivisa che tutti i crimini, indipendentemente da chi li ha commessi, debbano essere condannati, che tutte le vittime abbiano lo stesso valore, che il dolore delle loro madri sia ugualmente profondo. Così, anziché rappresentare un’occasione di espiazione personale e collettiva, gli anniversari del genocidio di Srebrenica sono spesso diventati un punto focale per nuove divisioni e per riaprire le ferite del passato, rendendo ancora più difficile il cammino per la riconciliazione e il perdono».
Ci saranno iniziative speciali con musulmani e ortodossi?
«Non sono a conoscenza di alcuna iniziativa oltre agli incontri tra i rappresentanti della Chiesa cattolica e della comunità musulmana. In questa fase è quasi impossibile prevedere un’attività congiunta che coinvolga gli ortodossi. La Chiesa ortodossa serba, così come la classe politica serba, riconosce che si è trattato di un crimine terribile, ma nega apertamente che si sia trattato di un genocidio. Finché questa posizione resterà immutata, sarà difficile realizzare iniziative comuni orientate alla riconciliazione».
Qual è il ruolo della Chiesa cattolica in Bosnia-Erzegovina?
«Crediamo che il dialogo sia l’unica via moralmente accettabile per risolvere i dissidi. I Vescovi della Bosnia-Erzegovina hanno sempre sostenuto questo principio e non hanno mai rifiutato di incontrare alcun leader religioso. La Chiesa ha seguìto questa strada sin dalla guerra, mettendo sempre in guardia dalle conseguenze di una pace ingiusta, che avrebbe finito per legittimare la pulizia etnica».
Questa posizione dimostra come la Chiesa in Bosnia-Erzegovina rimanga un punto di riferimento per la pace e il dialogo interreligioso.
Cosa possiamo imparare oggi dal genocidio di Srebrenica?
«Queste grandi tragedie possono diventare una lezione per il futuro, affinché le nuove generazioni non ripetano gli errori dei loro antenati. Srebrenica ci ricorda fino a che punto l’odio può spingere gli esseri umani a infliggersi dolore a vicenda. Eppure, anche in un mondo ferito da conflitti e guerre, è possibile imparare dagli errori del passato. Per quanto Srebrenica resti un luogo segnato dall’odio e dalla sofferenza, può trasformarsi anche in un simbolo di riconciliazione e conversione. Da questo luogo può emergere un messaggio chiaro: dalla guerra e dal crimine non nasce mai nulla di buono, mentre vale invece la pena lottare per la pace, per il rispetto reciproco, per una convivenza fondata sulla giustizia e sulla valorizzazione della diversità».
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La Chiesa in Bosnia-Erzegovina è oggi impegnata in un cammino difficile di dialogo, memoria e riconciliazione. Sostenereprogetti in suo sostefno significa contribuire alla costruzione di una società fondata sulla pace e sulla riconciliazione.