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I regimi autoritari di tutto il mondo hanno sempre più spesso posto la repressione della religione al centro delle proprie strategie di consolidamento del potere. Attraverso meccanismi di sorveglianza, leggi restrittive e il silenziamento delle voci dissenzienti, le comunità religiose vengono subordinate all’autorità statale e private della loro autonomia.

Questa dinamica costituisce una delle principali cause di persecuzione in 19 Paesi e alimenta forme di discriminazione in altri 33. Tale modello si è radicato anche in America Latina, dove i progetti autoritari di Cuba Nicaragua presentano sorprendenti analogie nella regolamentazione e nella repressione della vita religiosa.

Origini e diffusione del modello cubano di persecuzione da parte dello Stato

La Rivoluzione cubana del 1959 ha dato origine al regime autoritario più longevo delle Americhe. Fondato sulla concentrazione del potere in un partito unico e sulla soppressione del pluralismo politico, il modello cubano si basa sul controllo totale della società. Questo si è tradotto in decenni di repressione, sorveglianza e marginalizzazione della Chiesa, percepita come una minaccia allo Stato socialista.

Lungi dall’essere circoscritto a Cuba, tale modello è stato replicato, pur con delle varianti, in altri Paesi come il Nicaragua, dove emergono dinamiche simili di repressione, erosione delle libertà fondamentali e intensificazione della persecuzione contro comunità e leader religiosi che rappresentano una voce critica e profetica.

Il modello cubano: la religione subordinata all’ideologia

A Cuba, la libertà religiosa è storicamente subordinata agli interessi politici del Partito Comunista. La Costituzione riconosce il marxismo-leninismo come ideologia di Stato, e ogni manifestazione di fede deve conformarsi a questo principio. Sebbene negli ultimi decenni si siano registrati alcuni segnali di apertura, il controllo rimane rigido e le comunità religiose sono ancora sottoposte a stretta sorveglianza

Dopo la rivoluzione, l’educazione confessionale fu abolita, la presenza delle Chiese nella vita sociale soppressa e i leader religiosi emarginati o sottoposti al controllo dell’apparato statale. 

La strategia combina sorveglianza e criminalizzazione, relegando le comunità religiose a un ruolo subordinato alla struttura statale.

La repressione non è solo coercitiva, ma anche simbolica: lo Stato si attribuisce la rappresentanza del bene comune, delegittimando ogni voce dissenziente, comprese quelle religiose, e creando un ecosistema in cui il pluralismo è visto come una minaccia.

Persecuzione religiosa: l'esportazione del modello cubano

Esportazione del modello: controllo, sorveglianza, dissuasione e persecuzione

La proiezione internazionale del modello cubano si manifesta in modo particolarmente evidente in Nicaragua. Oltre all’affinità ideologica, si rileva un deliberato trasferimento di metodi di controllo politico, giuridico e religioso.

L’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ha denunciato la presenza in Nicaragua di agenti cubani coinvolti in attività di intelligence e repressione, nonché l’adozione di pratiche 

istituzionali ispirate al sistema cubano.

I due regimi condividono elementi strutturali comuni:

  • la concentrazione del potere nelle mani di élite politico-familiari;
  • la censura dei media;
  • la criminalizzazione sistematica del dissenso;
  • la repressione e persecuzione ai danni delle comunità religiose.

In questo contesto, la libertà religiosa è stata sottoposta a un parallelo processo di erosione, in particolare nei confronti dei settori ecclesiali che rappresentano una voce critica contro l’abuso di potere.

Per limitare l’autonomia delle comunità religiose, i due regimi impiegano metodi analoghi.

  • In primo luogo, impongono l’obbligo di registrazione delle organizzazioni religiose, così da permettere allo Stato di supervisionarne e condizionarne l’operato.
  • Successivamente, monitorano le chiese, gli eventi liturgici, i leader e le attività sociali, soprattutto quando possono incidere sull’opinione pubblica per la difesa dei diritti umani. 
  • Parallelamente, i regimi ricorrono a campagne di diffamazione e pressioni mediatiche nei confronti dei leader religiosi critici, spesso tramite canali statali o para-statali.
  • Al tempo stesso promuovono la nascita di una “Chiesa filogovernativa”, che sostenga la narrazione del regime, mentre i leader indipendenti sono oggetto di criminalizzazione, intimidazioni legali o espulsioni. 
  • Sul piano narrativo, la propaganda dipinge le comunità di fede come una minaccia all’ordine nazionale e al bene comune.
  • Infine, la mobilità del personale religioso viene limitata attraverso ostacoli alla concessione dei visti per membri del clero straniero, divieti d’ingresso per missionari ed espulsioni di sacerdoti o pastori, consolidando così un controllo capillare sulla vita religiosa e per limitarne l’influenza sociale.

Nicaragua: repressione sistematica e criminalizzazione della Chiesa

Il Nicaragua rappresenta l’accentuazione di questa dinamica. Dalla sua rielezione nel 2007, il presidente Daniel Ortega ha instaurato un regime monopartitico che ha assunto un atteggiamento apertamente ostile nei confronti della Chiesa cattolica e di altre confessioni critiche nei suoi confronti.

Il governo ha:

  • espulso membri del clero;
  • confiscato beni ecclesiastici;
  • vietato processioni e celebrazioni pubbliche;
  • incarcerato religiosi che hanno denunciato la repressione statale.

La narrativa ufficiale dipinge la Chiesa come nemica dello Stato e della sovranità nazionale, escludendo le comunità di fede dalla sfera pubblica e riducendo la loro azione pastorale a una dimensione puramente cerimoniale, se non clandestina.

La repressione religiosa in Nicaragua non è soltanto ideologica, ma anche strutturale: 

  • controllo sulla registrazione delle organizzazioni religiose
  • censura
  • sorveglianza da parte della polizia; 
  • espulsione del clero straniero;
  • uso di leggi antiterrorismo contro i leader ecclesiali. 

Tutte queste pratiche costituiscono un sistema deliberato di criminalizzazione della fede attiva, analogo a quello adottato a Cuba.

L’impatto delle migrazioni sulle Chiese e la disgregazione delle comunità

L’esportazione del modello cubano ha contribuito a generare crisi migratorie senza precedenti. 

Tra il 2022 e il 2023, Cuba ha registrato un’emigrazione massiccia di 1,8 milioni di persone (pari al 18% della popolazione), riducendo la popolazione complessiva a 8,6 milioni

Il Nicaragua tra il 2018 e il 2023 ha fatto registrare un esodo di oltre 719.000 persone, equivalente al 22% della popolazione totale. 

Le cause alla base di queste migrazioni di massa sono comuni e includono:

  • gravi crisi economiche
  • repressione politica;
  • pesanti restrizioni alle libertà fondamentali

Questo esodo acuisce il deterioramento della libertà religiosa, svuotando le comunità dei loro membri più attivi e critici, indebolendo le strutture interne e consolidando un ambiente sempre più controllato dal regime.

Sostenere chi fugge dalla persecuzione attraverso i progetti di Aiuto alla Chiesa che Soffre

La diffusione del modello cubano, e la sua applicazione in Paesi come il Nicaragua, mostra come la persecuzione operata dello Stato possa disgregare comunità, indebolire il tessuto ecclesiale e costringere migliaia di persone alla fuga.

Repressione, controllo statale, criminalizzazione dei leader religiosi e limitazioni alla vita pastorale generano un clima di paura che priva intere popolazioni dei loro punti di riferimento spirituali e sociali. In molti casi, la migrazione diventa l’unica via di salvezza per famiglie che desiderano solo vivere la propria fede in dignità e sicurezza.

La stessa sofferenza segna oggi tanti fratelli e sorelle in altre regioni del mondo, come il Burkina Faso, dove la violenza costringe le comunità cristiane ad abbandonare le proprie case e cercare protezione altrove. 

Un gesto di carità diventa così una risposta concreta alla loro speranza e un segno tangibile di vicinanza in questo tempo che ci prepara al Natale.

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