Skip to main content

Le persone in Occidente raramente si rendono conto quanto siano importanti i catechisti in tutta l’Africa e in Burkina Faso in particolare. Si preparano per quattro anni a prestare servizio come catechisti in regioni molto remote, dove accompagnano e guidano la popolazione cattolica nella vita quotidiana, la preparano ai sacramenti, guidano la preghiera domenicale e fungono da collegamento con il sacerdote più vicino, che potrebbe trovarsi a molti chilometri di distanza.

Il Getsemani di Mathieu: fede e coraggio contro i terroristi in Burkina Faso

Mathieu, catechista e padre di cinque figli, trascorse quattro mesi nelle mani dei terroristi, in un Getsemani localizzato tra il Mali, il Burkina Faso e il Niger, con la moglie Pauline che al momento del rapimento era incinta di cinque mesi. Questo rese il suo Getsemani ancora più terribile, perché segnato da maggior dolore, incertezza e paura.

Il catechista ha raccontato ad ACS la sua storia durante una visita recentemente effettuata da una nostra delegazione in Burkina Faso. Sua moglie non ha partecipato perché ha subito un trauma talmente grave da non essere in grado di parlare del suo calvario.

Minacce crescenti: il difficile cammino della fede

Il Getsemani di Mathieu: fede e coraggio contro i terroristi in Burkina Faso

«Ricordo che vivevamo in pace, lavoravamo la terra e possedevamo alcuni animali. Nel 2018 a Baasmere, la comunità in cui eravamo catechisti dal 2015, ha subìto la prima aggressione. […] Quando siamo arrivati c’erano già dei problemi nella zona, ma i terroristi hanno attaccato solo l‘esercito e le stazioni di polizia», ci ha raccontato Mathieu.

Il villaggio di Baasmere appartiene alla parrocchia di Aribinda e fa parte della diocesi di Dori, nel nord del Burkina Faso. La sua piccola comunità cattolica comprendeva tra 150 e 200 persone

«Nel 2018 un gruppo venne a casa mia e mi chiese di smettere di pregare e di organizzare funzioni religiose. Non portavano armi ed erano vestiti normalmente. Riconobbi alcuni di loro. “Se continui a fare quello che stai facendo, ti accadranno brutte cose”, mi minacciarono», ha ricordato il catechista.

«Prima di andarsene, bruciarono i negozi di liquori. La popolazione cristiana era terrorizzata e anch’io ebbi paura, ma pensai: “Non posso smettere di predicare la Parola di Dio, è per questo che sono qui”, così continuai ad esercitare il mio ministero». Il gruppo parlò anche con i rappresentanti delle altre comunità religiose del villaggio. «Ci hanno detto che non vogliono che i cristiani preghino qui», raccontarono subito dopo a Mathieu. 

I terroristi tornarono per minacciarlo una seconda volta, dopodiché i catechisti di tutta la zona si riunirono con il sacerdote e con il Vescovo: tutti decisero di rimanere, ma Mathieu trasferì  Pauline con i bambini in una zona più sicura.

Il rapimento: come Gesù nel Getsemani

Il 20 maggio 2018, sabato prima di Pentecoste, sua moglie tornò a Baasmere per trascorrervi la festa. Dopo la liturgia, i fedeli tornarono alle loro case. A mezzogiorno Mathieu stava riposando quando, all’improvviso, irruppe un gruppo di dieci uomini armati e mascherati. «Perché sei ancora qui?», gli chiesero. «Sono un catechista, questo è il mio dovere», rispose.

Gli ordinarono di sdraiarsi a terra, lo bendarono e gli legarono mani e piedi, ma poté sentire che stavano incendiando la sua proprietà per distruggerla. Poi lo fecero salire sul retro di una moto, tra due terroristi. Poiché era bendato, Mathieu non si era nemmeno accorto che anche Pauline era nel convoglio. Aveva chiesto di non essere legata, perché all’epoca era incinta di cinque mesi, ma i terroristi ignorarono la richiesta e le legarono mani e piedi.

«Dopo la prima notte mi tolsero la benda e mi slegarono, e allora capii che c’era anche lei. Fu terribile. Ma non mi permisero di parlarle per tutto il viaggio. […] ci portarono alla nostra destinazione, dove rimanemmo per quattro mesi». Appena arrivati, Mathieu fu portato dal leader del gruppo, che non era un locale, ma un arabo. Gli chiesero di divorziare dalla moglie: «Ogni giorno minacciavano di uccidermi dicendo: “Normalmente ti taglieremmo la gola, ma puoi scegliere come preferisci morire”». 

Pregare per non cadere

Bruciarono i pochi effetti personali e i vestiti che possedeva e gli diedero un nome e una veste musulmana, insegnandogli la dottrina islamica. «Durante tutto questo periodo, non smisi mai di pregare. Ricordo che una notte recitai settecento Ave Maria, contandole con dei sassolini. In quel periodo la preghiera era l’unica cosa che mi sosteneva. Non ci sentimmo mai abbandonati da Dio, recitare il rosario ogni giorno mi dava forza».

Il catechista ha spiegato che, dopo aver capito che non si sarebbero convertiti, i membri del gruppo iniziarono a discutere tra loro. «Alcuni dicevano che dovevano ucciderci, altri che dovevano liberarci. Infine, un giorno ci dissero che eravamo liberi di andare». 

Il ritorno alla vita: libertà e dolore

Dopo essere stati liberati, senza sapere dove fossero, un pastore li aiutò a trovare un’auto che li condusse in ospedale. Pauline fu visitata ma, purtroppo, il bambino che portava in grembo era già morto. Mentre ne parlava il viso di Mathieu, rigato dalle lacrime, esprimeva il dolore che li aveva segnati per sempre

Nonostante i rischi, il catechista decise di tornare alla sua casa di Baasmere, ma non c’era più nulla, tranne la sua carta d’identità e la Bibbia. «Ciò mi commosse molto: era la Bibbia donatami dal Vescovo quando mi affidò il ruolo di catechista». 

Perché non si convertì all’Islam abbandonando la fede cattolica? Ciò avrebbe reso la sua vita molto più facile. La risposta è arrivata con tono fermo: «Non potrei mai mentire a Dio, è meglio essere fedeli a Lui che agli uomini. Dobbiamo testimoniare e predicare Colui che seguiamo, ed essergli fedeli». 

Come Gesù nel Getsemani, Mathieu soffrì per la paura, l’abbandono e l’oscurità, ma, come i discepoli dopo la Risurrezione, non si limitò a questo. Quando il Vescovo gli chiese se, alla luce di tutto ciò che aveva patito, desiderasse ritirarsi, obiettò che voleva continuare a predicare la Risurrezione: «Non voglio fermarmi, voglio servire il mio popolo».

Aiuta i catechisti ad aiutare i cristiani che vivono nel terrore

La testimonianza di Mathieu e della sua famiglia ci ricorda che, ancora oggi, molti cristiani affrontano il loro personale Getsemani resistendo alla paura, alla violenza e all’abbandono con una fede incrollabile. In Burkina Faso, come in tante altre parti del mondo, la testimonianza di chi sceglie di rimanere fedele a Cristo, anche a costo della vita, è un appello urgente alla nostra solidarietà.

Sostenere i cristiani perseguitati significa non lasciarli soli nel loro cammino. Puoi farlo contribuendo ai progetti di Aiuto alla Chiesa che Soffre e pregando per loro ogni giorno.

Ti invitiamo a scoprire di più sulle iniziative in corso, tra cui quelle raccontate nell’ultimo numero de “L’Eco dell’Amore 4”, dedicato proprio al sostegno delle comunità cristiane più provate.

Sfoglia L’Eco dell’Amore

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie

Iscriviti

Sei un giornalista?

Iscriviti alla newsletter dedicata ai giornalisti per ricevere comunicati stampa e report in anteprima

Iscriviti

Come donare?

Puoi sostenere i cristiani perseguitati in diversi modi. Ogni donazione è fondamentale e ti permette di fare una reale differenza nella vita di chi soffre a causa della propria fede. Scopri come puoi sostenere ACS e unirti alla nostra missione.

Scopri di più

Come donare?

Puoi sostenere i cristiani perseguitati in diversi modi. Ogni donazione è fondamentale e ti permette di fare una reale differenza nella vita di chi soffre a causa della propria fede. Scopri come puoi sostenere ACS e unirti alla nostra missione.

Scopri di più