In occasione della Festa della Donna dell’8 marzo 2023, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha invitato in Italia due cristiane nigeriane, Maria Joseph (19 anni) e Janada Markus (22 anni), vittime nel recente passato della ferocia dei terroristi di Boko Haram, gruppo responsabile della morte di oltre 75.000 nigeriani negli ultimi 13 anni. L’iniziativa di ACS, dal titolo “8 marzo, ascolta anche le loro grida”, ha avuto lo scopo di far giungere la loro drammatica testimonianza alle istituzioni e all’opinione pubblica italiana, posto che ordinariamente le loro storie non emergono nel dibattito pubblico, restando così relegate in un mortificante dimenticatoio che aggiunge la pena dell’indifferenza a quella delle violenze già subite.
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Incontri con il Papa e le istituzioni italiane
Maria Joseph e Janada Markus sono state salutate da Papa Francesco al termine dell’Udienza Generale di mercoledì 8 marzo. Le due ragazze sono state successivamente ricevute dal presidente della Camera Lorenzo Fontana, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani. Il 9 e il 10 marzo Maria e Janada sono state ricevute dal Card. Pietro Parolin, segretario di Stato di Sua Santità, e da numerosi diplomatici accreditati presso la Santa Sede.
Janada e Maria hanno dato le loro testimonianze anche in tre momenti organizzati da ACS Italia a Roma l’8, 9 e 10 marzo.
La storia di Maria Joseph: nove anni di schiavitù
Nel luglio del 2022 Maria Joseph, 19 anni, è sfuggita ai miliziani di Boko Haram dopo essere rimasta prigioniera per nove anni. A seguito di un attacco sferrato dal gruppo terroristico alla sua comunità di Bazzar, la ragazza è stata rapita nel 2013 insieme ad altre 21 persone. Aveva solo 9 anni. Due dei suoi fratelli sono stati successivamente condotti nello stesso campo in cui la minorenne è stata detenuta. Uno di loro è stato ucciso, mentre l’altro è ancora in cattività.
«Nove anni di vita in schiavitù! Nove anni di torture! Nove anni di agonia! Abbiamo sofferto così tanto per mano di queste persone senza cuore e spietate. Per nove anni abbiamo visto versare il sangue innocente dei miei fratelli cristiani, uccisi da persone che non danno alcun valore alla vita. Hanno ucciso senza rimorsi, come se fosse una cosa normale. […] Le parole non possono esprimere ciò che ho vissuto», ha raccontato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre.
I terroristi, ha proseguito Maria, «hanno messo i cristiani in gabbie, come animali. La prima cosa che hanno fatto è stata convertirci con la forza all’Islam. Hanno cambiato il mio nome in Aisha, un nome musulmano, e ci hanno avvertito di non pregare come cristiani o saremmo stati uccisi. Quando avevo 10 anni volevano sposarmi con uno dei loro capi, ma ho rifiutato. Per punirmi mi hanno rinchiuso in una gabbia per un anno intero. Portavano il cibo una volta al giorno e lo infilavano sotto la porta senza mai aprire la gabbia […] Nel novembre 2019 hanno catturato due dei miei fratelli e li hanno portati al campo […] Sotto i miei occhi hanno preso mio fratello e lo hanno ucciso. Gli hanno tagliato la testa, poi le mani, le gambe e lo stomaco», ha aggiunto.
Dopo essere fuggita dal campo nel luglio 2022 è arrivata a Maiduguri, dove è stata accolta nel Centro traumatologico (Trauma Center) gestito dalla Diocesi locale e costruito con l’assistenza finanziaria di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il Centro è concepito per aiutare le persone che hanno subito varie forme di violenza da parte degli estremisti e impiega un team di professionisti.
Janada Markus: la tragedia della perdita e della tortura
La ventiduenne Janada Markus e la sua famiglia erano già sfuggite indenni a due attacchi di Boko Haram, una volta abbandonando la loro casa a Baga, nella regione nigeriana del Lago Ciad, e una seconda volta fuggendo dalla loro nuova casa ad Askira Uba, nello Stato del Borno meridionale, dove la loro abitazione è stata bruciata e diversi familiari sono stati uccisi dagli islamisti. Successivamente hanno raggiunto Maiduguri, ma il peggio doveva ancora venire.
Il 20 ottobre 2018, racconta la ragazza, «eravamo nella fattoria, lavoravamo alacremente quando all’improvviso siamo stati circondati dagli uomini di Boko Haram […] Hanno puntato un machete contro mio padre e gli hanno detto che ci avrebbero rilasciati se avesse fatto sesso con me […] Mio padre ha chinato la testa in segno di sottomissione per essere ucciso e ha risposto: “Non posso dormire con la mia carne e il mio sangue, mia figlia, preferirei morire piuttosto che commettere questo abominio” […] Uno degli uomini ha tirato fuori un machete e ha tagliato la testa di mio padre, proprio di fronte a noi». I terroristi in quella occasione hanno restituito la libertà a Janada, ma il 9 novembre 2020 la giovane è stata catturata, portata nella boscaglia e torturata duramente, emotivamente, fisicamente e mentalmente per sei giorni, per poi essere rilasciata. Anche lei è stata accolta nel Centro traumatologico della Diocesi di Maiduguri.
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