Nel prestigioso contesto del Senato della Repubblica, il 29 settembre 22025,  si è svolto il convegno
“La politica via alla santità. Carlo Casini e Shahbaz Bhatti”, promosso da numerose realtà impegnate nella difesa della vita e della libertà religiosa, tra cui l’Associazione Amici di Carlo Casini, l’Associazione Pakistani Cristiani in Italia e il Movimento per la Vita Italiano.

L’incontro ha voluto rendere omaggio a due grandi testimoni della fede e del servizio politico, Carlo Casini e Shahbaz Bhatti, figure che hanno incarnato una visione della politica come vocazione al bene comune, vissuta con coraggio, dedizione e spirito evangelico.

L’evento si è aperto con la Lectio Magistralis di Sua Eminenza il Cardinale Baldassarre Reina, Vicario generale del Santo Padre, ed è proseguito con una serie di panel e interventi che hanno approfondito il tema della politica come via alla santità.

In questo clima di intensa riflessione spirituale e civile, è intervenuto Massimiliano Tubani, Direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) Italia, con un contributo dal titolo “Il veleno delle ideologie”.
Attraverso un’attenta analisi delle derive ideologiche contemporanee, Tubani ha offerto una riflessione di grande attualità sul rapporto tra fede, ragione e responsabilità politica, indicando nella dottrina sociale della Chiesa un punto di riferimento universale per ogni uomo e donna impegnati nel servizio al bene comune.

Di seguito è possibile leggere il testo integrale del suo intervento.

Il veleno delle ideologie

Ci troviamo in questa prestigiosa sede istituzionale per parlare di Carlo Casini e di un politico pakistano, Shahbaz Bhatti, barbaramente ucciso per la sua attività pubblica. Data la missione di Aiuto alla Chiesa che Soffre, mi concentrerò in particolare su quest’ultimo. Shahbaz non ambiva a un ruolo politico. Giunse tuttavia alla conclusione che per incidere sulla normativa nazionale era necessario impegnarsi in prima persona, e lo fece per spirito di servizio a beneficio del popolo pakistano, in particolare delle minoranze religiose oppresse. Ha realizzato con la vita l’insegnamento di Pio XI, il quale affermò che la politica può diventare la «forma più alta di carità» (1).  

Per onorare quest’uomo e quanti hanno subìto una sorte analoga, vorrei condividere con voi alcune riflessioni.    

Ayman al-Zawahiri (1951-2022) è stato uno dei leader più influenti del terrorismo islamico. La sua formazione avvenne in un ambiente intellettuale di alto profilo, tra professori universitari, ambasciatori e un Gran Imam di al-Azhar. Laureato in medicina, negli anni Ottanta si recò in Pakistan e Afghanistan, dove trovò nel conflitto antisovietico un terreno d’azione. Incontrò Osama bin Laden e insieme decisero di unire le rispettive reti. Molti dei terroristi di quel nucleo non erano emarginati privi di mezzi, ma uomini colti e ambiziosi, più vicini a un’élite intellettuale che a una massa diseredata (2). 

Questo caso emblematico ci ricorda che il terrorismo jihadista non nasce solo ai margini della società, ma anche nei ranghi di famiglie istruite e rispettate, permeabili a determinate ideologie politico-religiose. 

Il terrorismo jihadista, guidato da figure come al-Zawahiri, e le azioni di gruppi estremisti locali, come quelli responsabili dell’uccisione di Shahbaz Bhatti, sono molto diversi per portata e obiettivi. Il primo si distingue per una strategia globale, un’ideologia centralizzata e una struttura organizzativa complessa; i secondi agiscono in contesti nazionali, con motivazioni settarie e obiettivi limitati. In entrambi i casi emerge tuttavia un punto di contatto: l’uso di un’interpretazione religiosa come base ideologica per legittimare un progetto politico e violento, promosso anche da uomini di elevata cultura.  

Ma cosa intendo per “ideologia”? Molto sinteticamente mi riferisco un sistema di idee che sostituisce la complessità dell’esperienza umana con una seconda realtà parallela, costruita, nel caso di specie, su di una matrice religiosa. Il tentativo di applicare questo sistema di idee alla natura umana determina gli effetti deleteri di cui molti sono stati vittime e moltissimi testimoni.  

Non dobbiamo considerare questo tipo di ideologia alla stregua di una sottocultura di cui siano portatori uomini rozzi e illetterati. Dobbiamo osservarla con lucidità e realismo, per garantire la sicurezza delle popolazioni geograficamente lontane da noi ma anche delle nostre città, delle nostre famiglie.  

Per giustificare questo sforzo è sufficiente riflettere su alcuni fatti. Nelle terre di confine tra Pakistan e Afghanistan opera l’ISKP, la Provincia del Khorasan dello Stato Islamico, considerata dagli Stati Uniti e da altri governi occidentali la maggiore minaccia terroristica internazionale. L’ISKP è considerato particolarmente pericoloso sia perché attrae combattenti esperti sia perché recluta in modo aggressivo online, spesso incoraggiando attacchi individuali, in autonomia, all’estero (3). Quanto a Daesh, ha perso lo Stato territoriale ma continua ad agire efficacemente non solo tramite una capillare struttura decentrata, ma anche tramite web e social. In Occidente induce i cosiddetti lupi solitari a compiere attentati contro sciiti, cristiani ed ebrei (4). Di conseguenza nessuno può ritenersi immune da tale insidiosa minaccia.  

Recentemente il contrasto al fenomeno jihadista in Italia si è opportunamente fondato su una strategia integrata: l’intelligence e le forze di polizia monitorano costantemente la propaganda e le reti di radicalizzazione. In ambito parlamentare è diffusa la consapevolezza della necessità di istituzionalizzare programmi di prevenzione e deradicalizzazione, formazione specialistica e progetti di ricerca accademica. L’obiettivo non è solo reprimere, ma anche analizzare l’ideologia islamista per prevenire nuove minacce, in linea con gli orientamenti europei e con un rafforzato coordinamento tra magistratura, apparati di sicurezza e sistema penitenziario. Siamo grati alle Istituzioni per gli sforzi profusi.  

Non si può tuttavia ignorare il rischio che si corre quando gli intellettuali incaricati di studiare questi fenomeni sono a loro volta portatori di ideologie diverse. L’analisi di un’ideologia politico-religiosa condotta da studiosi influenzati dalle correnti ideologiche presenti nelle società occidentali può infatti generare interpretazioni distorte e poco realistiche, con il risultato di ridurre l’efficacia delle strategie volte a neutralizzare il potenziale dirompente di alcuni gruppi. 

“Che fare?”, si chiederebbe Lenin, uno che di ideologia si intendeva.  

Dobbiamo certamente evitare di considerare l’ideologia politico-religiosa islamista alla stregua di un fenomeno intellettualmente marginale, di una sorta di eresia religiosa. Al contrario, dobbiamo analizzarla con gli strumenti concettuali più raffinati e avanzati. È tuttavia impossibile esaminare efficacemente una piaga presente in un corpo malato, se il medico indossa occhiali con lenti sporche e incrinate. Fuor di metafora, l’analisi critica delle ideologie politico-religiose deve andare di pari passo con quella delle ideologie, di diversa natura, che dilagano in Occidente. Ciò deve essere effettuato alla luce di una retta dottrina, rispettosa della natura umana. Mi riferisco in particolare alla dottrina sociale della Chiesa, che non può né deve essere considerata “ad uso e consumo” dei soli cattolici. I suoi fondamenti, infatti, come ha ricordato recentemente Leone XIV, “sono sostanzialmente in sintonia con la natura umana, la legge naturale che tutti possono riconoscere, anche i non cristiani, persino i non credenti” (5).  

Un’ulteriore insidia da evitare consiste nell’analizzare determinate interpretazioni dell’Islam attraverso le categorie politico-culturali occidentali. Tale operazione, se da un lato offre l’illusione di un ambito concettuale familiare e rassicurante, dall’altro espone a inevitabili distorsioni e fraintendimenti. 

I risultati delle analisi dell’ideologia islamista devono infine essere sottoposti ai decisori politici, affinché possano assumere provvedimenti appropriati e lungimiranti. Facendo questo, la politica avrà qualche strumento in più per servire il bene comune e per essere realmente la «forma più alta di carità». E se questo sforzo ci consentirà di salvare anche solo una vita, il sacrificio di Shahbaz Bhatti, e di tante altre vittime innocenti, non sarà stato vano.  

Grazie per la vostra attenzione.    

 

Note  

  1. Pio XI, Discorso ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, 18 dicembre 1927 
  2. Cf. Wright Lawrence, The Man Behind Bin Laden, The New Yorker, 8 settembre 2002, in https://www.newyorker.com/magazine/2002/09/16/the-man-behind-bin-laden, visitato il 13-08-2025  
  3. Cf. The Economist, Terror trade, vol. 456, n. 9462, 23 – 29 agosto 2025, p. 42 
  4. Sale Giovanni S.I., L’Isis dopo lo Stato islamico, La Civiltà Cattolica, anno 176, vol. II, q. 4195/4196, luglio/agosto 2025, p. 284 
  5. Leone XIV, Discorso alla delegazione di rappresentanti politici e personalità civili della Val de Marne, nella diocesi di Créteil, in Francia, 28 agosto 2025, in https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/august/documents/20250828-politici-francia.html, visitato il 29-08-2025